mercoledì 29 aprile 2015

La Casa Colonica Marchigiana

“Quel lontano mar” a “quei monti azzurri” riconoscendo che: … “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le  altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra  certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero  naturalmente. In modo che la vita di ogni paese abitato da qualunque generazioni di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi, dove gli uomini si riducono a stare insieme, è cosa artificiata, e diversa molto da quella  che sarebbe in natura.” (Giacomo Leopardi in Elogio agli uccelli – Operette Morali 1824).
Questo è ciò che osservava il grande Poeta di Recanati ammirando il paesaggio collinare, ossia il risultato è quindi il prodotto della “costruzione sociale” del territorio, nel quale per secoli si è mantenuto un valido equilibrio ecosistemico, che oggi, purtroppo, si va perdendo.
Nelle colline, in base alle quote e alle acclività, si possono distinguere almeno due aspetti che condizionano in modo evidente il paesaggio: in quella di modesta altitudine e nelle piccole aree vallive, presenti nella regione in corrispondenza dei corsi fluviali, si è sviluppato il paesaggio della moderna agricoltura industrializzata. Si  tratta di zone che si contraddistinguono per una notevole uniformità, con scarsa diversificazione delle colture, prevalentemente rappresentate da frumento, orzo, granturco, girasole e sorgo.
Le colline più elevate e con versanti maggiormente acclivi sono invece, ancor oggi, caratterizzate da paesaggi armoniosi in cui centri abitati, prevalentemente in posizione di poggio, si alternano a zone agricole caratterizzate da una consistente diversità dell’eco-mosaico, di cui fanno parte, oltre alle colture come la vite e l’olivo, anche elementi non produttivi quali querce,  filari alberati e siepi. E’ ciò che resta del paesaggio agrario di epoca mezzadrile, fase feconda della cultura rurale marchigiana; una cultura appartenuta ad una popolazione particolarmente attenta alle esigenze del territorio, dedita a  continue cure e a sapienti accorgimenti per salvaguardare i suoli dall’erosione, mantenerne la fertilità e contenere o evitare fenomeni franosi. Lo studio del periodo mezzadrile, del suo significato antropologico, socio-economico e ambientale, ha costituito l’impegno principale di illustri storici economisti che nelle Marche hanno trovato la massima espressione nella scuola di Sergio Anselmi, fondatore e animatore, insieme a Renzo Paci, dell’interessante Museo della Mezzadria di Senigallia, ricchissimo deposito di conoscenze utili per interpretare e reinterpretare lo sviluppo socio culturale del territorio.
(Biodiversità nelle Marche - i quaderni della selva - terzo volume 2010)

L’area marchigiana è una delle più antiche quanto ad appoderamento mezzadrile. Atti e documenti lo attestano sin dall’alto medioevo, anche se solo nel XV secolo si può parlare con certezza, e per la zona settentrionale, di “mezzadria classica” con insediamento di famiglie coloniche sui fondi, scorte vive e morte assegnate dal concedente, con partizione dei prodotti a metà. I materiali  raccolti nel Museo della Mezzadria di  Senigallia appartengono dunque ad una cultura agricola molto specifica,  quella mezzadrile, anche  se nella regione Marche non sono mancate forme di colonia parziaria, di conduzione diretta ed anche di bracciantato, costituitosi al seguito della polverizzazione della proprietà e con l’esclusione di molti coloni dai fondi. Questi braccianti  assunsero il nome di “casanolanti”, perché abitavano case “a nolo”, nei borghi suburbani di cittadine,  villaggi e  castelli. La loro vita ebbe sempre carattere di estrema precarietà.

La mezzadria marchigiana dei contadini perpetuò i suoi modi di produzione per circa 6 secoli (XIV-XX). Essa entrò in fase recessiva poco prima della seconda guerra mondiale, accentuandosi nel decennio 1950-1960, quando anche la legge (1964) vietò nuovi contratti mezzadrili. Con la crisi del sistema è iniziata anche la modificazione del paesaggio agrario, che ora non riflette più l’ambiente della colonia tradizionale: casa al centro o in posizione dominante rispetto al podere oscillante tra i 3-4 e i 20-30 ettari (mediamente) con la famiglia contadina interamente impegnata nella produzione, con colture prevalenti di grano, mais, uva, olivo, foraggi, canapa, con stalla e cantina nell’abitazione, ove sono anche il telaio e l’impianto per la sericoltura.
(da Museo della Mezzadria. Appunti per il visitatore - Comune di Senigallia)


VENDESI
Rif. 1433 - http://immobiliareverdicolline.blogspot.it/2015/04/httpblog.html - Ostra loc. Pianello, a circa 15 km dal mare e da Senigallia


La campagna marchigiana è cosparsa da una serie di abitazioni non eccessivamente ampie che caratterizzano l’intero territorio. Sono le case coloniche (nel 1934 in tutte le Marche ce ne sono 112.520), retaggio della conduzione a mezzadria delle terre; esse, con la loro peculiarità, hanno contraddistinto per secoli il paesaggio delle campagne e stanno a testimoniare quel cospicuo patrimonio culturale, sociale e storico della realtà agricola della nostra regione. Con il modo diversificato di condurre i terreni prodotto dalla meccanizzazione, una parte di questi fabbricati sono stati adattati alle esigenze degli attuali agricoltori, per cui sono diventati comode e confortevoli abitazioni, del tutto simili a quelle di città, mentre altri sono stati lasciati all’incuria e finiscono per andare in completa rovina. La casa colonica, che ha dato alloggio per tanto tempo alla famiglia del contadino, ha origine con la mezzadria, un patto agrario iniziato a diffondersi nel Millequattrocento, quando si avvertiva il bisogno di un forte cambiamento. Certi documenti così evidenziano quel felice momento: «dalla Marca, romagnoli et lombardi alli quali dette certe quantità di terre per case e piantar vigne et per seminar grano, et quelli comenzarono a sboscare le selve et boschi et a sementar et furon fatte d’ample et magne possessioni». L’afflusso di intere famiglie, provenienti da più parti d’Italia, era stato determinato da una condizione economica favorevole, che prevedeva il mettere a disposizione dei lavoranti la casa, gli attrezzi e gli animali da lavoro, per essere, a loro volta, ricompensati con la metà dei raccolti. L’abitazione rurale si differenziava a secondo della posizione geografica: quella delle valli e della bassa collina, ad esempio, era più ampia e maggiormente ariosa rispetto alle altre dell’alta collina e della montagna. Ciò era dovuto alla minor rendita delle terre, che condizionava il proprietario ad economizzare anche sui materiali. Questi erano reperiti, in genere, sul posto: così abbiamo:

Casa colonica con solaio: di solito costruita in pianura, a due piani, con la scala per il piano  superiore interna, che conduceva direttamente alla grande cucina. Questa era provvista di un grande focolare detto arola, luogo centrale dove la famiglia si riuniva a conversare. La stalla era posta ad est, e in corrispondenza al piano superiore c’erano le stanze da letto, questo perché oltre a sorvegliare gli animali, rendeva queste stanze le più calde. Sempre al primo piano si trovava il magazzino. All’esterno prendevano posto gli accessori come: il capanno per gli attrezzi e il forno. Ad ovest si trovava la cantina e l’ovile. Nel sottoscala la porcilaia o il pollame.
Al piano terra si poteva trovare il locale dove veniva  tenuto il  telaio per i lavori di tessitura e per tessere la dote delle giovani spose.
Il forno esterno in cui si cuoceva il pane, gli arrosti ma anche la canapa e le ghiande
Il pozzo, fondamentale l’approvvigionamento dell’acqua potabile, posto vicino alla casa, o anche isolato possibilmente a monte della casa e lontano da stalle o concimaie, per garantirne l’igiene.
La cantina serviva per conservare le botti di vino, qualche volta era interrata per garantire maggior freschezza.
Il fienile veniva utilizzato per tenere a riparo e conservare per l’inverno il foraggio per gli animali.


VENDESI
Rif.: 3547 Senigallia, circa due km dal centro, casa colonica risalente alla fine del 1800, misura circa 280 mq - http://immobiliareverdicolline.it/dettaglio-immobile.php?lingua=1&id=1327419185505088#.VUFCI9LtlHw
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

VEDESI
Rif.: 4818 -  Senigallia, Loc. San Silvestro, in posizione collinare e panoramica, immerso nel verde, Villa di Campagna ottenuta da un casale completamente ristrutturato - http://immobiliareverdicolline.it/dettaglio-immobile.php?id=2199216122#.VV90e0_tmko


Casa colonica con scala esterna: si trovava principalmente nelle zone collinari. La scala arrivava direttamente nella grande cucina e poteva essere coperta del tutto o solo il pianerottolo d’ingresso.


VENDESI
Rif.: 4178 - Tra Ostra e Ostra Vetere, zona collinare e panoramica, casa colonica di circa 230 mq totali.


Casa padronale o a pianta quadrata:  più signorile e disposta su due piani, aveva dettagli architettonici particolari e porta d’ingresso ad arco con cornici in laterizio. Di solito non aveva la stalla al piano terra ma  la cucina, mentre ha la sala e le numerose camere erano al piano superiore.

VENDESI
Rif. 2381 - Mondavio - Casale rustico di circa 400 mq


La casa torre: (1200-1300), poi trasformata successivamente in palombara (1500-1600): situata in zone interne e boscose prendeva il suo aspetto dalle costruzioni militari. Costruita con materiali del luogo, possedeva un’alta torre che sovrastava la vegetazione per un’ottima visibilità e difesa. Le mura erano molto spesse e le finestre formate da strette feritoie.
Ne 1600 la casa torre diventa Palombara o colombaia e la torre diventa coperta ed adibita a ricovero per la colombe per  fornire ottima carne e ricco fertilizzante.

La casa con bigattiera: si diffonde intorno all’ottocento. Nei periodi dell’anno in cui l’attività agricola è minore, la manodopera è impegnata nell’allevamento di bigatto o baco da seta.
Si costruiscono così case con bigattiera laterale o centrale, quest’ultima era la più diffusa. La case a bigattiera presentavano un porta finestra caratteristica provvista di ringhiera. Per creare un ambiente idoneo al baco da seta le finestre erano ampie per una migliore areazione e provviste di scuri per un  far entrare il sole nelle giornate più calde.  In inverno il locale veniva riscaldato con le stufe poste agli angoli della stanza.

VENDESI
Rif.: 3861 - Senigallia - circa 6 km dal mare, casale rustico di 350 mq 


La casa di terra: costruita con materiali poveri: un composto di  terra e paglia. La lavorazione veniva effettuata in primavera o in autunno altrimenti  il sole avrebbe seccato troppo in fretta il composto o al contrario, il gelo lo avrebbe indurito eccessivamente. Un tempo queste particolari costruzioni erano numerose, oggi sono visibili a Serra dé Conti, nella Vallesina e nell’alto maceratese.

Intorno alla casa colonia vi era un ampio cortile, delimitato dai pagliai, si curavano gelsi, olmi, noci e fichi. Inoltre vi trovavano spazio l’aia, la concimaia (a fossa o a piattaforma per la raccolta del letame) e la pozza per la raccolta dell’acqua piovana; vicino a questa in una piccola porzione di terra erano ricavati l’orto e un minuscolo giardino. L’aia era uno spazio di terra battuta, su cui avveniva, tramite le operazioni di battitura, la cernita dei prodotti destinati all’alimentazione come, grano, orzo, granturco, fave, fagioli e ceci. I lavori di raccolta hanno sempre comportato un gran numero di manodopera, reperita presso le famiglie dei casanolanti e di altri contadini della zona, ricambiati questi con la prestazione d’opera, mentre gli altri erano ricompensati con prodotti in natura. Durante tali prestazioni ci si distraeva, colloquiando ininterrottamente o intonando canti. Il repertorio marchigiano contemplava, in particolare, i canti a batocco o alla longa (cioè particolari canti a due voci), stornelli di sfottò o strofe di messaggi amorosi. Alla conclusione dei lavori si era soliti spesso improvvisare danze al suono di un organetto o di una fisarmonica, i balli più comuni erano il saltarello e la furlana.
(Emilio Pierucci)
Tratto da: famiglia marchigiana
e da Enciclopedia Treccani.

Dal punto di vista sociale la mezzadria crea una speciale cellula familiare patriarcale molto chiusa e governata in modo autoritario dal capofamiglia, il vergaro (perché simbolicamente  tiene in mano la verga, intesa come scettro del comando), che ha potere quasi assoluto sulla gestione dell’azienda, e sulle vite dei figli, nipoti, pronipoti e nuore. In effetti le donne sono anche soggette al giudizio della vergara (che può essere la moglie del vergaro o una sposa di un altro uomo autorevole del gruppo) a cui spetta per intero l’organizzazione della casa, della suddivisione del lavoro, fino agli acquisti di abiti per grandi e piccoli. La famiglia colonica, che oltre a mantenere se stessa deve corrispondere al padrone una fetta considerevole degli introiti e quindi non può permettersi un aumento di bocche sproporzionata rispetto alla dimensione del podere, pratica un severo controllo delle nascite e un’oculata strategia matrimoniale.
Una vita difficile dunque quella dei mezzadri, ritmi convulsi del lavoro nei campi, pesanti oneri, padroni spesso esosi e fattori (rappresentanti della proprietà) che qualche volta lasciavano poco spazio alle trattative.
Due sono gli elementi che consentono alle famiglie di sopravvivere: l’intelligenza e la lungimiranza del vergaro, e poi il tipo di agricoltura a coltivazioni promiscue e frazionate, la “rotazione”, praticata sistematicamente nelle Marche. Una procedura che, oltre a rendere variegato e sempre diverso il paesaggio, preserva la produttività dei terreni e garantisce dai fallimenti e dagli anni di scarsi raccolti sempre possibili nel caso di culture intensive.
(da 101 storie sulle Marche che non ti hanno mai raccontato di Marina Minelli – Newton Compton)

I contratti di colonia erano documenti che il colono e il proprietario sottoscrivevano per la conduzione di un podere.
Di seguito sono elencate le regole generali dei contratti in vigore nella zona di Senigallia nel 1840 riportate dal libro “Mezzadrie terre nelle Marche” di Sergio Anselmi del 1978.

° Qualunque persona addetta alla Colonia volesse ammogliarsi dovrà averne ottenuto dal Colono contraente il consenso che non potrà da questo accordarsi senza averlo in pria dal Padrone.

° Essendo l’amore verso i simili, e la pace domestica principale sorgente di felicità in terra, qualora tutti gli individui componenti la famiglia colonia non vivessero più in perfetto accordo coll’amarsi, e compatirsi scambievolmente, ovvero vi sorgesse un qualche individuo sussurrone, armigero, giocatore, o che frequentasse le osterie, sarà, come quegli è che è causa di discordia, e scandali, espulso sul momento dalla Colonia, sostituendosi un garzone.

° Non potranno mai farsi nella Colonia balli, festini, giuochi, vendita di vino, caccie, ed altro che possa produrre demoralizzazione, od arrecar danni, servitù ecc.

° Il Colono non potrà rifiutarsi  ai comandi del Padrone, ed ai lavori di campagna nei giorni di feste abolite dai Sommi Pontefici, e di cui ora è dispensata la osservanza appunto per favorire l’agricoltura e per allontanare l’ozio dalle famiglie.

° Non sarà lecito di innaffiare il terreno né parte del medesimo senza averne pria ottenuto il permesso dal Padrone. Non potrà pure permettere il Colono che si faccia dal alcuno parate lungo i fossi, né che si pongano ad asciugare sui prati, tele, biancherie, ecc.

° Se si attentasse il Colono di dare a chiunque per regalia, od altro per qualsiasi titolo la benché minima parte dei prodotti del terreno che ha ricevuto a Colonia, prima che siasi proceduto alla divisione dei medesimi, potrà essere, illico et immediate, cacciato con tutta la sua famiglia qual reo di furto.

In conclusione, un pensiero di Guido Piovene, autore di un approfondito reportage attraverso l'Italia tra il 1953 e il 1956, che  percorrendo le Marche illustrò molto bene il rapporto tra i luoghi e le genti, e di come il duro e faticoso lavoro del contadino abbia creato un paesaggio del tutto particolare ed armonioso:
"E la collina marchigiana, volgendosi verso l'interno, è quasi un grande e naturale giardino all'italiana. Non è la collina toscana, né quella umbra, né la veneta. É dolce, serena, patetica, lucida, priva di punte."(...) La vita contadina acquista nelle Marche il massimo suo splendore, e il lavoro concorre alla bellezza e lucidità del paesaggio.

Nessun commento:

Posta un commento