giovedì 30 aprile 2015

Il Mito del Giardino, alla ricerca dell’Eden perduto

Recita  un antico detto cinese :“se vuoi essere felice un’ora, inebriati, se vuoi essere felice tre giorni, prendi una donna,  se vuoi essere felice tre mesi,  prendi un maiale e mangialo in tre mesi, se vuoi essere felice tutta la vita diventa giardiniere”.


Il primo giardino della storia è proprio quello di Adamo ed Eva, l’Eden che ci preserva dalla vita grama e dal disordine del mondo come i giardini dell’antica Persia protetti dai muri e alte siepi dette pairi (tutt’attorno) daesa (baluardo), che in greco diventerà Paradeisos ossia Paradiso, quando il primo scrittore della storia Senofonte, tornerà dalla sua storica camminata nelle terre di Artaserse.


Anche  il Corano promette ai fedeli un giardino di delizie riparato dal freddo e dal gelo, ricco di palme e melograni, verdi pascoli e fiumi di vino, latte e miele, dove si potrà restare  sdraiati in compagnia di belle fanciulle. La storia dei giardini ci porta lontano in compagnia di medici e filosofi come Aristotele, TeofrastoAvicenna, Plinio, Ippocrate, Galeno e Discoride. Ci porta all’alba della civiltà, al témenos, lo spazio sacro dei greci, conduce al viridarium dei contadini romani esiliati in città,  protetto da Apollo o Priapo, dio dei giardini.
Giardino significa passaggio dal nomadismo alla vita sedentaria, accettazione del limite. Forse per questo milioni di persone “urbanizzate per forza” hanno i sensi atrofizzati e la natura, con tutti i suoi simboli (alberi, animali, acqua), non suscita più che emozioni superficiali. Sarebbe bello tentare una storia dei giardini sulla base dei sentimenti che in ogni epoca suscita il verde “umanizzato”: dalla gioia edonistica provata dai pochi cortigiani nei giardini all’italiana del Rinascimento, all’indifferenza dei tanti per i quali oggi il verde non significa quasi più nulla. Lo stile  italiano ricerca un’armonia razionale, lo stile romantico esprime malinconia, il barocco è un tripudio di forme per la gioia di stupire.


I giardini medioevali ispiravano quiete e raccoglimento: l’hortus conclusus, il giardino claustrale dove il monaco pregava, spingeva alla contemplazione, semplicità e grazia (anche in senso cristiano, come salute dell’anima e del corpo) erano caratteristiche dell’ hortus sanitatis, il giardino erede degli Orti dei Semplici nell’antica Grecia e di Roma, dove con le virtù delle piante, miscelate a sostanze animali e minerali,  curavano le malattie. 


Se nel Barocco e nel Rococò, spiega lo scrittore Lichacev “le illusioni ottiche erano burle” (basta inoltrarsi, stupefatti, fra  i mostri di Bomarzo, vicino Viterbo), per i romantici, invece, i giardini  simboleggiano la mesta illusorietà tipica di un mondo pervaso di malinconia e grazie a questo culto della malinconia nei parchi romantici non c’è posto per l’ironia e  per lo scherzo. Nei giardini romantici la riflessione era connessa non tanto con lo studio “impassibile” e  “scientifico” del mondo e con lo stupore di fronte alla saggezza e alla varietà della natura (come nei giardini barocchi), quanto con una mentalità che non tollera né riso né sorriso. Se nella pittura rococò, soprattutto nelle scene pastorali gli elementi paesaggistici lasciavano spazio all’allegria, al sorriso, a una sfumatura ironica, i giardini preromanici e romanici, invece, li escludevano senza appello”. Il romanticismo, dice Lichacev, è l’ultimo grande stile dell’arte di parchi e giardini, ma ciò non significa naturalmente che anche in tempi recenti siano mancati i grandi maestri dal brasiliano  Burle Marx a Russel Page il “giardiniere” che lavorò nei giardini più belli del mondo, dalla Francia agli  Stati Uniti, dal Venezuela all’Egitto.
Page amava i giardini  “a stanze”, microcosmi piccoli e proporzionati racchiusi da alte siepi, ciascuno con un colore dominante “Se dovessi scegliere un luogo per il mio giardino - scrisse - preferirei una conca piuttosto che la cima di una collina: un panorama e un giardino abbinati si rubano, l’attenzione vicendevolmente”.


Nel giardinaggio, scriveva Herman Hesse, “c’è qualcosa simile alla presunzione e  al piacere della creazione:  si può plasmare un pezzetto di  terra come si vuole… si può trasformare una piccola aiuola, un paio di metri quadrati di nuda terra, in un  mare di colori, in una delizia per gli occhi, in un angolo di paradiso”.

Fonte: Specchio della Stampa febbraio 1997 numero 54
Articolo di Carlo Grande

mercoledì 29 aprile 2015

La Casa Colonica Marchigiana

“Quel lontano mar” a “quei monti azzurri” riconoscendo che: … “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le  altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra  certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero  naturalmente. In modo che la vita di ogni paese abitato da qualunque generazioni di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi, dove gli uomini si riducono a stare insieme, è cosa artificiata, e diversa molto da quella  che sarebbe in natura.” (Giacomo Leopardi in Elogio agli uccelli – Operette Morali 1824).
Questo è ciò che osservava il grande Poeta di Recanati ammirando il paesaggio collinare, ossia il risultato è quindi il prodotto della “costruzione sociale” del territorio, nel quale per secoli si è mantenuto un valido equilibrio ecosistemico, che oggi, purtroppo, si va perdendo.
Nelle colline, in base alle quote e alle acclività, si possono distinguere almeno due aspetti che condizionano in modo evidente il paesaggio: in quella di modesta altitudine e nelle piccole aree vallive, presenti nella regione in corrispondenza dei corsi fluviali, si è sviluppato il paesaggio della moderna agricoltura industrializzata. Si  tratta di zone che si contraddistinguono per una notevole uniformità, con scarsa diversificazione delle colture, prevalentemente rappresentate da frumento, orzo, granturco, girasole e sorgo.
Le colline più elevate e con versanti maggiormente acclivi sono invece, ancor oggi, caratterizzate da paesaggi armoniosi in cui centri abitati, prevalentemente in posizione di poggio, si alternano a zone agricole caratterizzate da una consistente diversità dell’eco-mosaico, di cui fanno parte, oltre alle colture come la vite e l’olivo, anche elementi non produttivi quali querce,  filari alberati e siepi. E’ ciò che resta del paesaggio agrario di epoca mezzadrile, fase feconda della cultura rurale marchigiana; una cultura appartenuta ad una popolazione particolarmente attenta alle esigenze del territorio, dedita a  continue cure e a sapienti accorgimenti per salvaguardare i suoli dall’erosione, mantenerne la fertilità e contenere o evitare fenomeni franosi. Lo studio del periodo mezzadrile, del suo significato antropologico, socio-economico e ambientale, ha costituito l’impegno principale di illustri storici economisti che nelle Marche hanno trovato la massima espressione nella scuola di Sergio Anselmi, fondatore e animatore, insieme a Renzo Paci, dell’interessante Museo della Mezzadria di Senigallia, ricchissimo deposito di conoscenze utili per interpretare e reinterpretare lo sviluppo socio culturale del territorio.
(Biodiversità nelle Marche - i quaderni della selva - terzo volume 2010)

L’area marchigiana è una delle più antiche quanto ad appoderamento mezzadrile. Atti e documenti lo attestano sin dall’alto medioevo, anche se solo nel XV secolo si può parlare con certezza, e per la zona settentrionale, di “mezzadria classica” con insediamento di famiglie coloniche sui fondi, scorte vive e morte assegnate dal concedente, con partizione dei prodotti a metà. I materiali  raccolti nel Museo della Mezzadria di  Senigallia appartengono dunque ad una cultura agricola molto specifica,  quella mezzadrile, anche  se nella regione Marche non sono mancate forme di colonia parziaria, di conduzione diretta ed anche di bracciantato, costituitosi al seguito della polverizzazione della proprietà e con l’esclusione di molti coloni dai fondi. Questi braccianti  assunsero il nome di “casanolanti”, perché abitavano case “a nolo”, nei borghi suburbani di cittadine,  villaggi e  castelli. La loro vita ebbe sempre carattere di estrema precarietà.

La mezzadria marchigiana dei contadini perpetuò i suoi modi di produzione per circa 6 secoli (XIV-XX). Essa entrò in fase recessiva poco prima della seconda guerra mondiale, accentuandosi nel decennio 1950-1960, quando anche la legge (1964) vietò nuovi contratti mezzadrili. Con la crisi del sistema è iniziata anche la modificazione del paesaggio agrario, che ora non riflette più l’ambiente della colonia tradizionale: casa al centro o in posizione dominante rispetto al podere oscillante tra i 3-4 e i 20-30 ettari (mediamente) con la famiglia contadina interamente impegnata nella produzione, con colture prevalenti di grano, mais, uva, olivo, foraggi, canapa, con stalla e cantina nell’abitazione, ove sono anche il telaio e l’impianto per la sericoltura.
(da Museo della Mezzadria. Appunti per il visitatore - Comune di Senigallia)


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Rif. 1433 - http://immobiliareverdicolline.blogspot.it/2015/04/httpblog.html - Ostra loc. Pianello, a circa 15 km dal mare e da Senigallia


La campagna marchigiana è cosparsa da una serie di abitazioni non eccessivamente ampie che caratterizzano l’intero territorio. Sono le case coloniche (nel 1934 in tutte le Marche ce ne sono 112.520), retaggio della conduzione a mezzadria delle terre; esse, con la loro peculiarità, hanno contraddistinto per secoli il paesaggio delle campagne e stanno a testimoniare quel cospicuo patrimonio culturale, sociale e storico della realtà agricola della nostra regione. Con il modo diversificato di condurre i terreni prodotto dalla meccanizzazione, una parte di questi fabbricati sono stati adattati alle esigenze degli attuali agricoltori, per cui sono diventati comode e confortevoli abitazioni, del tutto simili a quelle di città, mentre altri sono stati lasciati all’incuria e finiscono per andare in completa rovina. La casa colonica, che ha dato alloggio per tanto tempo alla famiglia del contadino, ha origine con la mezzadria, un patto agrario iniziato a diffondersi nel Millequattrocento, quando si avvertiva il bisogno di un forte cambiamento. Certi documenti così evidenziano quel felice momento: «dalla Marca, romagnoli et lombardi alli quali dette certe quantità di terre per case e piantar vigne et per seminar grano, et quelli comenzarono a sboscare le selve et boschi et a sementar et furon fatte d’ample et magne possessioni». L’afflusso di intere famiglie, provenienti da più parti d’Italia, era stato determinato da una condizione economica favorevole, che prevedeva il mettere a disposizione dei lavoranti la casa, gli attrezzi e gli animali da lavoro, per essere, a loro volta, ricompensati con la metà dei raccolti. L’abitazione rurale si differenziava a secondo della posizione geografica: quella delle valli e della bassa collina, ad esempio, era più ampia e maggiormente ariosa rispetto alle altre dell’alta collina e della montagna. Ciò era dovuto alla minor rendita delle terre, che condizionava il proprietario ad economizzare anche sui materiali. Questi erano reperiti, in genere, sul posto: così abbiamo:

Casa colonica con solaio: di solito costruita in pianura, a due piani, con la scala per il piano  superiore interna, che conduceva direttamente alla grande cucina. Questa era provvista di un grande focolare detto arola, luogo centrale dove la famiglia si riuniva a conversare. La stalla era posta ad est, e in corrispondenza al piano superiore c’erano le stanze da letto, questo perché oltre a sorvegliare gli animali, rendeva queste stanze le più calde. Sempre al primo piano si trovava il magazzino. All’esterno prendevano posto gli accessori come: il capanno per gli attrezzi e il forno. Ad ovest si trovava la cantina e l’ovile. Nel sottoscala la porcilaia o il pollame.
Al piano terra si poteva trovare il locale dove veniva  tenuto il  telaio per i lavori di tessitura e per tessere la dote delle giovani spose.
Il forno esterno in cui si cuoceva il pane, gli arrosti ma anche la canapa e le ghiande
Il pozzo, fondamentale l’approvvigionamento dell’acqua potabile, posto vicino alla casa, o anche isolato possibilmente a monte della casa e lontano da stalle o concimaie, per garantirne l’igiene.
La cantina serviva per conservare le botti di vino, qualche volta era interrata per garantire maggior freschezza.
Il fienile veniva utilizzato per tenere a riparo e conservare per l’inverno il foraggio per gli animali.


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Rif.: 3547 Senigallia, circa due km dal centro, casa colonica risalente alla fine del 1800, misura circa 280 mq - http://immobiliareverdicolline.it/dettaglio-immobile.php?lingua=1&id=1327419185505088#.VUFCI9LtlHw
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Rif.: 4818 -  Senigallia, Loc. San Silvestro, in posizione collinare e panoramica, immerso nel verde, Villa di Campagna ottenuta da un casale completamente ristrutturato - http://immobiliareverdicolline.it/dettaglio-immobile.php?id=2199216122#.VV90e0_tmko


Casa colonica con scala esterna: si trovava principalmente nelle zone collinari. La scala arrivava direttamente nella grande cucina e poteva essere coperta del tutto o solo il pianerottolo d’ingresso.


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Rif.: 4178 - Tra Ostra e Ostra Vetere, zona collinare e panoramica, casa colonica di circa 230 mq totali.


Casa padronale o a pianta quadrata:  più signorile e disposta su due piani, aveva dettagli architettonici particolari e porta d’ingresso ad arco con cornici in laterizio. Di solito non aveva la stalla al piano terra ma  la cucina, mentre ha la sala e le numerose camere erano al piano superiore.

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Rif. 2381 - Mondavio - Casale rustico di circa 400 mq


La casa torre: (1200-1300), poi trasformata successivamente in palombara (1500-1600): situata in zone interne e boscose prendeva il suo aspetto dalle costruzioni militari. Costruita con materiali del luogo, possedeva un’alta torre che sovrastava la vegetazione per un’ottima visibilità e difesa. Le mura erano molto spesse e le finestre formate da strette feritoie.
Ne 1600 la casa torre diventa Palombara o colombaia e la torre diventa coperta ed adibita a ricovero per la colombe per  fornire ottima carne e ricco fertilizzante.

La casa con bigattiera: si diffonde intorno all’ottocento. Nei periodi dell’anno in cui l’attività agricola è minore, la manodopera è impegnata nell’allevamento di bigatto o baco da seta.
Si costruiscono così case con bigattiera laterale o centrale, quest’ultima era la più diffusa. La case a bigattiera presentavano un porta finestra caratteristica provvista di ringhiera. Per creare un ambiente idoneo al baco da seta le finestre erano ampie per una migliore areazione e provviste di scuri per un  far entrare il sole nelle giornate più calde.  In inverno il locale veniva riscaldato con le stufe poste agli angoli della stanza.

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Rif.: 3861 - Senigallia - circa 6 km dal mare, casale rustico di 350 mq 


La casa di terra: costruita con materiali poveri: un composto di  terra e paglia. La lavorazione veniva effettuata in primavera o in autunno altrimenti  il sole avrebbe seccato troppo in fretta il composto o al contrario, il gelo lo avrebbe indurito eccessivamente. Un tempo queste particolari costruzioni erano numerose, oggi sono visibili a Serra dé Conti, nella Vallesina e nell’alto maceratese.

Intorno alla casa colonia vi era un ampio cortile, delimitato dai pagliai, si curavano gelsi, olmi, noci e fichi. Inoltre vi trovavano spazio l’aia, la concimaia (a fossa o a piattaforma per la raccolta del letame) e la pozza per la raccolta dell’acqua piovana; vicino a questa in una piccola porzione di terra erano ricavati l’orto e un minuscolo giardino. L’aia era uno spazio di terra battuta, su cui avveniva, tramite le operazioni di battitura, la cernita dei prodotti destinati all’alimentazione come, grano, orzo, granturco, fave, fagioli e ceci. I lavori di raccolta hanno sempre comportato un gran numero di manodopera, reperita presso le famiglie dei casanolanti e di altri contadini della zona, ricambiati questi con la prestazione d’opera, mentre gli altri erano ricompensati con prodotti in natura. Durante tali prestazioni ci si distraeva, colloquiando ininterrottamente o intonando canti. Il repertorio marchigiano contemplava, in particolare, i canti a batocco o alla longa (cioè particolari canti a due voci), stornelli di sfottò o strofe di messaggi amorosi. Alla conclusione dei lavori si era soliti spesso improvvisare danze al suono di un organetto o di una fisarmonica, i balli più comuni erano il saltarello e la furlana.
(Emilio Pierucci)
Tratto da: famiglia marchigiana
e da Enciclopedia Treccani.

Dal punto di vista sociale la mezzadria crea una speciale cellula familiare patriarcale molto chiusa e governata in modo autoritario dal capofamiglia, il vergaro (perché simbolicamente  tiene in mano la verga, intesa come scettro del comando), che ha potere quasi assoluto sulla gestione dell’azienda, e sulle vite dei figli, nipoti, pronipoti e nuore. In effetti le donne sono anche soggette al giudizio della vergara (che può essere la moglie del vergaro o una sposa di un altro uomo autorevole del gruppo) a cui spetta per intero l’organizzazione della casa, della suddivisione del lavoro, fino agli acquisti di abiti per grandi e piccoli. La famiglia colonica, che oltre a mantenere se stessa deve corrispondere al padrone una fetta considerevole degli introiti e quindi non può permettersi un aumento di bocche sproporzionata rispetto alla dimensione del podere, pratica un severo controllo delle nascite e un’oculata strategia matrimoniale.
Una vita difficile dunque quella dei mezzadri, ritmi convulsi del lavoro nei campi, pesanti oneri, padroni spesso esosi e fattori (rappresentanti della proprietà) che qualche volta lasciavano poco spazio alle trattative.
Due sono gli elementi che consentono alle famiglie di sopravvivere: l’intelligenza e la lungimiranza del vergaro, e poi il tipo di agricoltura a coltivazioni promiscue e frazionate, la “rotazione”, praticata sistematicamente nelle Marche. Una procedura che, oltre a rendere variegato e sempre diverso il paesaggio, preserva la produttività dei terreni e garantisce dai fallimenti e dagli anni di scarsi raccolti sempre possibili nel caso di culture intensive.
(da 101 storie sulle Marche che non ti hanno mai raccontato di Marina Minelli – Newton Compton)

I contratti di colonia erano documenti che il colono e il proprietario sottoscrivevano per la conduzione di un podere.
Di seguito sono elencate le regole generali dei contratti in vigore nella zona di Senigallia nel 1840 riportate dal libro “Mezzadrie terre nelle Marche” di Sergio Anselmi del 1978.

° Qualunque persona addetta alla Colonia volesse ammogliarsi dovrà averne ottenuto dal Colono contraente il consenso che non potrà da questo accordarsi senza averlo in pria dal Padrone.

° Essendo l’amore verso i simili, e la pace domestica principale sorgente di felicità in terra, qualora tutti gli individui componenti la famiglia colonia non vivessero più in perfetto accordo coll’amarsi, e compatirsi scambievolmente, ovvero vi sorgesse un qualche individuo sussurrone, armigero, giocatore, o che frequentasse le osterie, sarà, come quegli è che è causa di discordia, e scandali, espulso sul momento dalla Colonia, sostituendosi un garzone.

° Non potranno mai farsi nella Colonia balli, festini, giuochi, vendita di vino, caccie, ed altro che possa produrre demoralizzazione, od arrecar danni, servitù ecc.

° Il Colono non potrà rifiutarsi  ai comandi del Padrone, ed ai lavori di campagna nei giorni di feste abolite dai Sommi Pontefici, e di cui ora è dispensata la osservanza appunto per favorire l’agricoltura e per allontanare l’ozio dalle famiglie.

° Non sarà lecito di innaffiare il terreno né parte del medesimo senza averne pria ottenuto il permesso dal Padrone. Non potrà pure permettere il Colono che si faccia dal alcuno parate lungo i fossi, né che si pongano ad asciugare sui prati, tele, biancherie, ecc.

° Se si attentasse il Colono di dare a chiunque per regalia, od altro per qualsiasi titolo la benché minima parte dei prodotti del terreno che ha ricevuto a Colonia, prima che siasi proceduto alla divisione dei medesimi, potrà essere, illico et immediate, cacciato con tutta la sua famiglia qual reo di furto.

In conclusione, un pensiero di Guido Piovene, autore di un approfondito reportage attraverso l'Italia tra il 1953 e il 1956, che  percorrendo le Marche illustrò molto bene il rapporto tra i luoghi e le genti, e di come il duro e faticoso lavoro del contadino abbia creato un paesaggio del tutto particolare ed armonioso:
"E la collina marchigiana, volgendosi verso l'interno, è quasi un grande e naturale giardino all'italiana. Non è la collina toscana, né quella umbra, né la veneta. É dolce, serena, patetica, lucida, priva di punte."(...) La vita contadina acquista nelle Marche il massimo suo splendore, e il lavoro concorre alla bellezza e lucidità del paesaggio.

venerdì 17 aprile 2015

Chiocciole, pioli e gradinate.

                                          Scale impossibili Echer

Chiocciole, pioli e gradinate.  
Il mondo è fatto a scale. A pioli o monumentali, a chiocciola o rettilinee, in legno o in acciaio e vetro. Ce ne sono di tutte le misure, da pochi gradini agli 11.674 della scala più lunga del mondo, quella che fiancheggia la funicolare di  Niesenbahn, in Svizzera “l’uomo ha inventato la scala perché è il mezzo più efficiente per superare un dislivello” dice Luigi Consonni autore del libro Scale (Hoepli), “E’ semplice e versatile permette di muoversi con leggere pendenze o in verticale (cosa impossibile per esempio usando un semplice piano inclinato), con un ingombro minimo”.
Grazie alla scala si cammina verso l’alto. “e sue misure sono regolate sulla lunghezza del passo”, spiega Consonni. “Esiste una formula per il gradino perfetto”. Sommando la sua profondità al doppio della  sua altezza, il risultato deve essere 63 centimetri: è la lunghezza media del passo umano ripartita in questo caso tra uno spostamento in avanti e uno in alto più faticoso (considerato quindi doppio). Le misure del gradino dovrebbero essere cioè 29 centimetri di profondità e 17 di altezza: si sale così con più naturalezza, come se si camminasse”.
Queste misure possono avere minime variazioni (il totale può arrivare, per esmpio, a 65). Altrimenti la scala ci sembra scomoda . “Bisogna comunque compensare: un gradino molto lungo deve essere basso, perché sia sempre naturale. E non può essere troppo profondo: se dobbiamo fare un passo e mezzo su ogni piattaforma, rompiamo la cadenza della camminata, provando fastidio”. Aggiunge Luigi Consonni “Se si riduce troppo la profondità, invece, si procede male perché non si appoggia bene il piede”. Anche la rampa ha la sua misura ideale:”Una scala dovrebbe essere intervallata da pianerottoli ogni 10 gradini, per permettere di riposarsi”. Comunque, a salire le scale si fa fatica: si consumano 9 calorie al minuto, camminando se ne usano solo 3.
La base del Tempio
L’uomo ha imparato prestissimo a usare la scala. Da quando ha incomiciato a costruire abitazioni sopraelevate, per difendersi dai nemici, dagli animali o dall’acqua. Le forme erano semplicissime: nelle case del Neolitico di Khirokitina , a Cipro, veniva usato un tronco con i gradini intagliati da appoggiare al muro. Poi si è passati alle scale fisse, dritte, come quelle trovate negli edifici in Egitto o  in Mesopotamia: non sono diverse da quelle che usiamo ancora oggi. Nell’antichità le case erano prevalentemente a un piano: le scale, quando servivano, erano quindi molto semplici. Secondo lo storico e architetto Vitruvio, nelle “insulae”, i condomini dell’antica Roma, le rampe erano così  strette, ripide e buie che spesso le persone si scontravano. “Le grandi scalinate invece erano una caratteristica degli edifici pubblici e religiosi” chiarisce Paola Gallo, autrice con Silvio San Pietro del libro Stairs - Scale (ed. L’Archivolto). Basti pensare ai templi greci r romani, costruiti su una base a gradini chiamata crepi doma  o alle piramidi a gradoni sudamericane. Il tempio o il palazzo si elevaano sulle case, fisicamente e idealmente. Non a caso, la scala è il simbolo della salita verso il cielo.  Ma è  anche il segno  del potere del  re o dello Stato: il visitatore che si avvicina deve percorrere un’imponente gradinata prima di accedere  al palazzo.
Attacchi respinti
“Nel Medioevo le scale devono essere più utili che decorative” aggiunge Paola Gallo. Castelli o torri vediamo così  rampe “nascoste” nei muri o scale a chiocciola, che occupano poco spazio. Sono studiate per essere una delle ultime difese del castello assaltato: possono essere facilmente sbarrate. Secondo la tradizione (non confermata), spesso le scale a chiocciola sono costruite verso destra (in salita)  per favorire i difensori che respingono i nemici in basso in discesa, ci si può reggere al pilastro centrale con la sinistra, tenendo la spada nella destra. Alcune scale hanno i gradini di differente altezza e profondità proprio per creare difficoltà ad eventuali nemici che cercano di impossessarsi del castello. Ma la scala è anche un’arma d’attacco, con cui inerpicarsi sulle mura nemica. Si racconta che il primo assalto dei crociati a Gerusalemme sia fallito perché, in mancanza di legname, non c’erano abbastanza scale.
Le metto in piazza
Nei secoli successivi, però, la scala è diventata fondamentale nell’architettura dei palazzi. Un elemento decorativo, dalle forme fantasiose. Come la scala a  doppia elica di  Chambord, uno  dei castelli della  Loira, in Francia (iniziata nel 1519): forse ispirata a un disegno di Leonardo da Vinci, è costituita da due rampe elicoidali sovrapposte, che permettevano ai cortigiani di salire e scendere senza incontrarsi. Ma ci sono anche le scalinate nelle città (come quella  d piazza di Spagna, a Roma) e persino scale d’acqua (per esempio nella reggia di Caserta). “Dal  ‘600 con il Barocco, si diffondono scale monumentali” spiega Paola Gallo. “Le forme sono sempre più complesse. Compaiono linee curve, decorazioni e fontane”.
Nelle scale monumentali i gradini diventano più bassi e più profondi: questo fa si che cammini più lentamente. Un accorgimento perfetto per l’andatura “da cerimonia”, soprattutto per le dame dai lunghi vestiti, che potevano salire con eleganza. Gli scaloni di palazzi erano il segno della ricchezza del padrone di casa. Qui si ricevevano anche gli ospiti e i dignitari. Il Doge di Venezia, per esempio, attendeva i visitatori illustri al culmine delle scale di Palazzo Ducale. “Ma anche nelle case borghesi dell’800 si trova nell’atrio una scala che si presenta con grande ricchezza” aggiunge Paola Gallo.
Sottili e hi-tech
A fine ‘800 la scala si motorizza Jesse Reno e Charles Seeberger formulano due progetti simili di scale mobili. E nel 1900 vengono installate le prime a New York e Parigi. “Ma le scale si continuano costruire e ad usare”dice Paola Gallo. “Oggi si sperimentano nuovi materiali: vetro, ferro, acciaio, rame. Le nuove lamiere rinforzate rendono lo spessore del gradino sottile: i designer possono progettare rampe leggerissime. O, ancora, travi nascoste nel muro reggono  gradini “liberi”, che sembrano appesi alla parete”. Ma ci sono ancora scale in legno o in pietra. “E naturalmente sono diffuse quelle in cemento armato: possono essere al sbalzo, cioè “incastrate” nel muro perimetrale”, dice Consonni. Oggi sono fondamentali anche le  garanzie di sicurezza. “Le caratteristiche di una scala devono rientrare nei parametri della legge, diversi a seconda che si tratti di un’abitazione o di un edificio pubblico, che deve garantire il passaggio e l’uscita di molte persone” dice Vittorio Galimberti dell’Istituto per le Tecnologie della costruzione del Cnr. Ci sono regole anche per le scalette portatili, che possono essere causa di incidenti domestici. Devono  avere il marchio EN 131 e vengono sottoposte a prove. Per assicurasi che i gradini reggono, o che ci sia un meccanismo di sicurezza che impedisce alla scala di aprirsi”.
La scala come ponte verso il cielo
La scala è il simbolo della salita dalla terra al cielo (il mondo divino) e dell’ascensione spirituale. I gradini rappresentano in molte culture stadi successivi da superare o prove. Nella Bibbia si trova la scala di Giacobbe, lungo cui salivano e scendevano gli angeli. Nella tradizione cristiana la scala è il percorso che l’uomo deve fare per raggiungere al regno di Dio. Nelle chiese l’altare può essere su tre gradini: rappresentano fede, speranza e carità. La scala è un simbolo che esiste in diverse culture.
Nell’Islam, il  Profeta Maometto, portato in cielo dall’Arcangelo Gabriele, vede la scala di cui si servono gli spiriti degli uomini per salire in Paradiso. Anche per gli antichi Egizi la scala è simbolo dell’ascensione: le piramidi sono una sorta di gradinata, i defunti salgono su una scala per arrivare davanti a Osiride. Meno spirituale l’interpretazione psicanalitica: per Freud  le scalinata sono simboli del rapporto sessuale: alla base della comparazione,  il movimento ritmico del salire e l’aumento della respirazione per arrivare in cima.
Altre scale
Il teatro alla Scala edificato nel 1776-1778 su progetto di Giuseppe Piermarini, sorse nell’area della chiesa Santa Maria della Scala fatta costruire da Beatrice della Scala nel 1381, moglie di  Bernardo Visconti e ne ha conservato il nome.
Scala Santa: è la scala che porta alla capella Sancta Sanctorum, in Laterano, a Roma. Sarebbe quella del palazzo di Ponzio Pilato, percorsa da  Gesù nel processo e bagnata dal sangue dopo la flagellazione, poi portata a Roma da Elena, madre dell’imperatore Costantino. I fedeli salgono in ginocchio. Esistono altre “scale sante” costruite su ispirazione di quella romana, come a Campli (Teramo), Prato, Fabriano.
Ferrata: si chiama così la “via” per scalare rocce in verticale, con l’aiuto di scalini fissati nella parete di pietra, scale, cavi, pioli.

Testo di Giovanna Camardo, tratto da Focus n. 116/2002

venerdì 3 aprile 2015

Progetto di Ristrutturazione Casale di Campagna ad Ostra (AN) loc. Pianello Via Della Chiusa n. 24, con tecniche di Bioarchitettura ed Ecosostenibili

Il casale ubicato in località Pianello di Ostra:
(Rif. 1433 - Immobiliare Verdi Colline - http://immobiliareverdicolline.it/dettaglio-immobile.php?id=12552942594580260#.VSglnfmG9XY ) a circa 15 km dal mare e da Senigallia, a ridosso delle verdi colline di Ostra, casale da ristrutturare completamente circa 280 mq totali disposto su due piani, giardino privato circa 2.000 mq. Possibile realizzare casa singola o bifamiliare, anche in bioarchitettura, tetto in legno con travi a vista e facciata mattoni a vista. Disponibile progetto di ristrutturazione, per creare due unità  abitative autonome di circa 140 mq cad. con corte privata di circa 1000 mq. Ogni singolo appartamento potrebbe essere così realizzato; al piano terra ingresso ampio, pranzo soggiorno, cucina abitabile con dispensa, antibagno e bagno, porticato, scala interna per il primo piano con disimpegno, tre camere, doppi servizi. Prezzo trattabile. Per visite tel. +39 349 7711759 Andrea www.immobiliareverdicolline.it - info@immobiliareverdicolline.it - My Skype: immobiliareverdicolline1









Notizie storiche su Pianello di Ostra e dintorni:
Lo studioso Paolo Giuliani nel suo saggio sulla Tipizzazione testuale dei centri storici , dopo aver definito la contrada come “insediamento residenziale di entità variabile, i cui edifici risultano distribuiti a lato di una o più strade”, propone come esempio di tale realtà urbana proprio Pianello di Ostra che venne “edificato in corrispondenza di un ponte sul Misa, in prossimità del quale, le caratteristiche favorevoli del letto del fiume consentivano l'escavazione della ghiaia”. Non è un caso quindi che fra i primi abitanti di Pianello numerosi fossero i carrettieri, diventati poi dopo il secondo conflitto mondiale titolari di imprese di autotrasporti, ancora esistenti. Agli inizi dell'Ottocento l'abitato vero e proprio, molto probabilmente, non doveva ancora esistere. C'era solo un primo minuscolo aggregato di case di cui troviamo testimonianza nel Catasto Gregoriano.
Qui infatti una delle quattro sezioni, la seconda, in cui si articola il territorio del comune di Montalboddo (antico nome di Ostra) porta il nome di Pianello; comprende praticamente tutta la contrada posta oltre il fiume Misa, confinante con i comuni di Senigallia, Ripe, Corinaldo e Ostra Vetere.
......Il casale al Pianello di Ostra può essere  completamente ricostruito, anche cambiando l’attuale posizione, tenendo conto solamente di rispettare la metratura del casale originario. Questo rende possibile, oltre che costruire un nuovo casale in muratura, anche di poter realizzare una costruzione in bioedilizia e con tecniche ecosostenibili: questo permetterà di avere oltre che una bella abitazione, il rispetto dell’ambiente e anche non notevole risparmio in fatto di costi sia per i materiali di costruzione sia per gli incentivi che si possono ottenere in caso di costruzioni definite green.

Diamo uno sguardo ai possibili tipi di materiali e vantaggi per la realizzazione di tale progetto.

IN RISPARMIO ENERGETICO CASA / IL 22 OTTOBRE 2013 ALLE 16:52
Parlare di case ecologiche, al giorno d’oggi, significa addentrarsi in un discorso molto ampio e ricco di sorprese. Infatti, abitazioni realizzate in questa maniera non sono solo quelle che si fondano su materiali “naturali” come il legno, ma anche case particolari che mettono al primo posto il valore del rispetto per l’ambiente e per l’ecologia, appunto.
Non solo legno per le case ecologiche!
Case di questo tipo, dunque, possono essere realizzate in legno: avete presente i prefabbricati o le baite di montagna? Grazie a costruzioni di questo tipo, è possibile risparmiare notevolmente in termini di spese di costruzione e materiali, ma anche per quanto riguarda il riscaldamento o l’areazione. Ma pochi sanno che vengono considerate ecologiche anche le case realizzate secondo i criteri della bio-edilizia: questo significa che le materie prime per ottenere tutte le varie parti della struttura edilizia di una abitazione, sono costituite da elementi completamente naturali. Stiamo parlando ad esempio di materiali come il gesso, la lana di roccia, il sughero per quanto riguarda l’architettura, oppure di vernici a base vegetale e impregnanti che non provengono da processi chimici-industriali ma dal mondo minerale.
Vantaggi delle case ecologiche
Scegliere di abitare in case ecologiche conviene da più punti di vista: innanzitutto, i materiali utilizzati per la bio-edilizia garantiscono la completa assenza di umidità all’interno degli ambienti. Dal punto di vista della sicurezza degli abitanti, le strutture a norma sono considerate completamente antisismiche e proteggono anche dalle infiltrazioni di gas nocivi come il radon: tutti i materiali naturali, infatti, hanno la particolare caratteristica di non trasmettere questo tipo di gas assai pericoloso per la salute dell’uomo. Sempre dal punto di vista sanitario, le case ecologiche di recente costruzione prevedono l’impiego di legno trattato in maniera naturale, onde evitare la presenza di sostanze come la formaldeide, con cui vengono trattati chimicamente altri tipi di legnami non certificati in bio-edilizia. Un ulteriore vantaggio della maggior parte delle case ecologiche è il completo isolamento, sia dal punto di vista dell’acustica, che da quello termico: tutto ciò è possibile sfruttando le particolari caratteristiche dei materiali, utilizzati dalle principali imprese di costruzioni che seguono i dettami della bio-edilizia.
I materiali per le case ecologiche
Il passaggio dalle abitazioni dei nostri “antenati”, che vivevano praticamente in simbiosi con la natura, alle più moderne costruzioni, ha segnato anche l’attitudine a costruire con materiali frutto di processi chimici e industriali: se inizialmente non si conoscevano gli effetti delle calci industriali o di altri trattamenti per pareti o altri ambienti di casa, con il passare del tempo si è cercato di sfruttare materiali “ecologici”, non trattati. Si è tornati dunque al punto di partenza, specie per le case ecologiche realizzata secondo i dettami della bio-edilizia: come abbiamo visto legno, prodotti minerali, ma anche case in bambù, totalmente sicure e anti-sismiche. Naturalmente, tutto questo non sta a significare una minore attenzione alla tecnologia, perchè ogni casa costruita in maniera ecologica deve comunque soddisfare i requisiti presenti nelle normative e nelle certificazioni di riferimento. La prima caratteristica, dunque, di ogni abitazione di questo tipo, è quella di essere completamente “riciclabile”, in quanto ogni materiale può essere appunto riutilizzato o comunque nel tempo può essere impiegato per un utilizzo diverso. Resta comunque soddisfatto il requisito di non dover essere smaltito in discariche ad hoc.
I tetti e le pareti
Per realizzare i tetti e le pareti delle case ecologiche, vengono sfruttati materiali del tutto naturali: il legno, la fibra di cellulosa, il sughero, la fibra di cocco, la canapa, il vetro cellulare; si tratta di elementi naturali che hanno la caratteristica di fornire la massima capacità di isolamento, per garantire così una perfetta coibentazione ed il miglior isolamento dal punto di vista acustico e termico. Vengono abbattuti anche i costi proprio per la capacità delle pareti realizzate doppi telai, di mantenere la temperatura giusta a seconda della stagione.
Vernici ecologiche
Per quanto riguarda l’utilizzo di vernici, nelle case ecologiche si sfruttano quelle completamente naturali: le vernici biologiche non hanno nulla da invidiare a quelle industriali, anzi sono molto più sicure in quanto non rilasciano esalazioni tossiche nocive alla salute degli individui. Molto spesso vengono sfruttate le proprietà delle vernici fotocatalitiche, che con un sistema simile alla fotosintesi, tramutano le polveri sottili generate dagli elementi presenti in casa, in altre sostanze meno nocive per la salute. Si riconoscono grazie alla presenza, sulle confezioni, del marchio Ecolabel, certificato dall’Unione Europea. Le vernici biologiche vengono prodotte a partire da ingredienti al 100% naturali, e non hanno nulla da invidiare a quelle industriali. Fra i molti vantaggi, quello di essere inodori, di non avere nella loro composizione sostanze irritanti, nonché di permettere la massima traspirazione al materiale che vanno a ricoprire.

IN EDILIZIARISPARMIO ENERGETICO CASA / IL 11 OTTOBRE 2013 ALLE 15:57
Le caratteristiche principali delle case in bioedilizia
Attualmente, è necessario progettare le strutture secondo i canoni della bioedilizia facendo riferimento ad alcuni fattori e caratteristiche proprie di questa filosofia. Il primo fattore da considerare è l’approccio bioclimatico: dove orientare la casa, in modo che possa fruire del calore diretto del sole, e di determinate zone di ombra, nonché considerare il tipo di ventilazione della zona in cui si costruisce. Successivamente, per ridurre il fabbisogno energetico delle abitazioni e dunque abbattere i consumi di riscaldamento o raffreddamento dei locali, è opportuno considerare il tipo di coibentazione edilizia. Dopo queste prime considerazioni relative alla struttura dell’edificio e al suo posizionamento, la bioedilizia mette in campo gli impianti per la produzione energetica, ovviamente ricorrendo a fonti di energia rinnovabile come:
-    fotovoltaico
-    energia solare termica
-    energia eolica
-    energia geotermica
-    biomasse
L’approccio prosegue con la considerazione delle risorse idrico per approvvigionare il fabbisogno degli abitanti: ampio spazio alle tecnologie che riescano a sfruttare il riutilizzo di acqua piovana. L’obiettivo finale di chi realizza case in bioedilizia, dunque, è quello di fare attenzione massima al futuro prossimo dei cittadini, garantendo il massimo rispetto per la qualità della vita, dell’ambiente, dell’aria e dunque dell’uomo stesso. Case ecologiche, dunque, realizzate grazie a materiali diversi rispetto alle materie prime utilizzate nella normale edilizia. Si tratta comunque di elementi certificati, sia per quanta riguarda gli standard energetici, sia dal punto di vista della qualità, nel caso di laterizi, vernici, componenti isolanti ecc…

IN RISPARMIO ENERGETICO CASA / IL 24 SETTEMBRE 2013 ALLE 16:15
In Italia, la legge relativa al risparmio energetico è una diretta conseguenza del protocollo di Kyoto, ovvero un trattato di livello internazionale che ha sancito alcuni obblighi relativi alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica in tutti i paesi aderenti. La data effettiva di entrata in vigore è il 2005, e dello stesso anno è il decreto legge italiano 192/2005, in cui viene stabilita la disciplina relativa alla riduzione dei consumi di energia, il cui primo risultato è stato quello di rendere obbligatoria la certificazione energetica degli edifici. Le successive disposizioni hanno specificato ulteriormente le normative relative alla certificazione energetica e le possibili detrazioni fiscali per chi avesse intenzione di riqualificare dal punto di vista energetico l’edificio di sua proprietà. Infatti, per raggiungere i risultati del protocollo di Kyoto, l’Italia come tutti gli altri paesi hanno stabilito un ruolino di marcia che, se non rispettato, può determinare una serie di sanzioni. Da qui la necessità di garantire a imprese e cittadini l’accesso a regimi fiscali particolari e incentivi per la realizzazione di impianti energetici a minore impatto ambientale.
 Mutui green per la bioedilizia
Per favorire l’acquisto delle abitazioni ecosostenibili, esistono particolari mutui agevolati, denominati “mutui green”: questo tipo di finanziamenti sono indirizzati verso chi vuole acquistare o costruire un immobile con caratteristiche in linea con i principi della bioedilizia. Altri mutui di questo tipo permettono di effettuare lavori importanti per riqualificare, dal punto di vista energetico, un edificio o un particolare tipo di immobile. Come primo requisito per accedere a tali finanziamenti, il tipo di abitazione deve appartenere almeno alla classe energetica A.
Requisiti per i mutui green
Per poter accedere a questo tipo di finanziamento, gli istituti di credito devono ricevere da parte dei soggetti tutta una serie di documenti, in particolare la certificazione che l’edificio rispetti i principi della bioedilizia:
-    utilizzo di materiali eco-compatibili
-    risparmio energetico grazie a minori dispersioni di calore
-    presenza di impianti per sfruttare le energie rinnovabili
Una volta accertate tutte le disposizioni necessarie, sarà possibile ottenere un prestito in particolare per i seguenti interventi:
-    interventi di ristrutturazione energetica, comprendenti l’acquisto di materie prime e altri materiali di tipo termo isolante
-    rifacimento di impianti termici e impianti elettrici
-    adeguamento di impianti elettro-termici
-    costruzione di nuovi immobili che rispettino i principi di bio-edilizia
Al momento, mutui di questo tipo vengono predisposti da una serie di istituti di credito che rientrano nel novero delle cosiddette “banche etiche”.
Ad oggi ci si può rivolgere in particolare a:
-    Banca Sella con il “Finanziamento energia pulita”
-  Banca Etica con il Mutuo Chirografario Ristrutturazione Efficientem, Progetto Fotovoltaico e il Mutuo Micro Energia di Banca Etica
-    BNL con il prodotto “Energia XL”
-    Intesa SanPaolo con il pianoPrestito Ecologico per finanziare fino a cento mila euro rimborsabili in quindici anni
-    Banco Popolare con il suo muto Risparmio
mutui dedicati al settore delle case ecologiche offrono ampie possibilità di scelta, dal momento che possono essere finalizzati all’acquisto, alla ristrutturazione e alla costruzione.
Grazie alla diffusione dell’uso di energie alternative, e all’aumento di incentivi dedicati proprio alle operazioni di riqualificazione energetica o al miglioramento delle operazioni di risparmio energetico, oggi anche i principali istituti di credito hanno inserito nel plafond dell’offerta dei mutui quelli specificatamente dedicati alle case ecologiche e alla bioedilizia.

L’IDEA IN PIU’
Tende da sole fotovoltaiche
IN RISPARMIO ENERGETICO CASA / IL 28 LUGLIO 2014 ALLE 15:56
 La duttilità dei pannelli fotovoltaici ha reso possibile creare le tende da sole che funzionano come pannelli fotovoltaici. Questo tipo di tenda da sole è in grado di generare energia pulita ed inesauribile, svolgendo contemporaneamente la sua tradizionale funzione di elemento climatico.
Per produrre 1 Kwp di energia elettrica basta una superficie di 530X350 cm, questi pannelli si avvolgono come una normalissima tenda da sole, la differenza da una comune tenda è che oltre ad avere l’ombra nello stesso tempo abbiamo energia elettrica gratuita.
Un investimento valido, dunque per chi vuole passare all’energia pulita sfruttando il balcone oppure il terrazzo di casa.
Una tenda fotovoltaica può coprire il 40% del fabbisogno energetico di una famiglia media, inoltre si ripaga da sola in 10/11 anni (dati identificativi, il dato cambia in base al collocamento ed alla esposizione solare) e garantisce guadagni per i successivi 9/10 anni. La tenda fotovoltaica, infatti, può essere connessa alla rete elettrica e in questo modo garantisce un sensibile risparmio nella bolletta, oltre a un possibile ricavo se si decidesse di vendere l’energia prodotta e non auto-consumata.
Sgravi fiscali per il risparmio energetico
La tenda solare, nella misura 530×350 cm, con una potenza di 1 kWp, genera energia elettrica immediatamente utilizzabile, e l’installazione della stessa consente di beneficiare degli incentivi previsti dall’eco bonus 2014.
Il costo relativo all’impianto, infatti, può essere ammortizzato dagli incentivi fiscali relativi alle ristrutturazioni edilizie. Questo significa, ad esempio, che sarà possibile vedersi garantito un rimborso fino al 65% della spesa, per la durata di 10 anni, attraverso sgravi fiscali annuali.

Dal 1° gennaio 2015
Prorogate a tutto il 2015 le detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica.
Estese alle schermature solari, agli impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili nonché all’adozione di misure antisismiche. In dettaglio, la detrazione del 65% è estesa alle spese sostenute, dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2015, per:
- l’acquisto e posa in opera delle schermature solari, nel limite massimo di detrazione di 60.000 euro;
- l’acquisto e posa in opera degli impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, nel limite massimo di detrazione di 30.000 euro;
- gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche.
Viene elevata dal 4 all’8% la ritenuta operata da banche e Poste sugli accrediti di bonifici disposti per beneficiare delle detrazioni fiscali connesse agli interventi di ristrutturazione e di risparmio energetico degli edifici.